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Assegnati i Viareggio-Rèpaci 2005

di Maria Vittoria Vittori su IL MATTINO del 25/06/2005


 
Eccoli, i vincitori della 76ma edizione del premio Viareggio-Rèpaci: Raffaele La Capria per la narrativa con L’estro quotidiano (Mondadori), Alberto Arbasino per la saggistica con Marescialle e libertine (Adelphi), documentatissima e brillante ricognizione del teatro musicale italiano del Novecento, Milo De Angelis per la poesia con il sofferto canzoniere d’amore Tema dell’addio (Mondadori), Alessandro Piperno nella sezione «opera prima» con il romanzo tanto applaudito e tanto discusso Con le peggiori intenzioni (Mondadori). Ora, che Raffaele La Capria potesse vincere il premio Viareggio se l’aspettavano tutti, considerata l’altissima qualità della sua scrittura e in particolare di questa sua ultima opera in cui si racconta e racconta in stile diaristico, genere insolito per l’Italia: ma che La Capria vincesse il Viareggio con un giorno d’anticipo questo non si poteva immaginarlo. Perché? Perché non era mai accaduto, nel corso degli anni, che venisse sconvolta la tranquilla ritualità del premio toscano. Infatti, quello che è successo tra le giornate di giovedì e venerdì è un piccolo giallo mediatico. Ieri è uscito nelle pagine de «Il giornale» un trafiletto all’apparenza innocuo, di quelli anonimi, inserito in un servizio che dava notizia del convegno «La scena di Garboli», organizzato dal presidente e dalla giuria del premio per la giornata di oggi. Il veleno, però, stava nella coda: si trattava dell’annuncio dei quattro vincitori che era previsto per oggi, durante una pausa del convegno. Un’anticipazione vera e propria che ha scatenato la bagarre, tanto che il presidente del Viareggio, Enzo Siciliano, si è visto costretto a precisare subito in un comunicato stampa «che non è stato dato nessun annuncio, ma è stata fatta solo una votazione interna alla giuria», confermando però tutto quanto era stato anticipato. Nel gioco di illazioni sulla soffiata, qualche voce ha trovato sospetta la coincidenza con il raduno, giovedì sera, in casa Bellonci, per la designazione della cinquina dello Strega. Dubbi e sospetti a parte, è certo che mai come quest’anno il Viareggio ha ottenuto grande visibilità sul piano mediatico. Ma ciò che interessa particolarmente è la motivazione delle scelte effettuate, perché rivela la volontà di delineare un compiuto profilo di storia letteraria: «Si è voluta premiare la qualità di tre generazioni diverse, una qualità che scorre lungo gli anni, da La Capria ad Arbasino, attraverso la generazione di mezzo con un poeta come Milo De Angelis, per arrivare a Piperno, che rappresenta un talento, capace di sollevare apprezzamenti partecipati e polemiche molto vivaci». Del verdetto del premio ne parliamo con Raffaele La Capria, rintracciato nella sua casa romana, mentre si appresta a partire per la città toscana. Come lo giudica? «Mi piace molto che non si tratti di un premio alla carriera, ma a un’opera che è viva, presente e attuale. Così è per me questo libro. È una sorta di diario che ho scritto perché volevo avere un rapporto diretto con il lettore, senza alcuna intermediazione. Sapevo bene che i tempi della civile conversazione erano finiti e proprio per questo mi era venuto il desiderio di iniziare una conversazione con il lettore, sperando che avesse voglia di ascoltarmi». Un passaggio molto importante del suo diario è il concetto di «terzietà esistenziale». «È un dato che mi appartiene perché ho vissuto in due famiglie molto diverse ideologicamente tra loro: quella antifascista di Ernesto Rossi e quella fascista di Barna Occhini. E dunque ho attraversato fino in fondo il dramma della anomalia italiana, ovvero la memoria sequestrata dalla politica, la storia non risolta, la divisione. Essendo napoletano, e quindi storicamente memore della rivoluzione del 1799, so quanto di drammatico ci sia in questa divisione. La terzietà è anche un senso di ferita profonda che ci si porta dietro, una ferita di tipo esistenziale che ho voluto rappresentare in Ferito a morte, ma che rivela la sua matrice collettiva e storica nel libro che ho scritto su Napoli negli anni Ottanta, L’armonia perduta». Che cosa pensa ora di Napoli? «Napoli è e resta una città vitale, ma anche virtuale, piena di possibilità non ancora compiute, che è abitata da persone straordinariamente duttili e di grande talento, ma che hanno bisogno di un punto d’appoggio, di fiducia, di trovare in loro stesse la capacità di avviare attività e di promuoversi». Progetti futuri? «Un libro per completare la vicenda autobiografica raccolta nel Meridiano della Mondadori. Voglio raccontare tutto ciò che si è pensato e si è provato in una vita. È un libro in cui riflessi narrativi e saggistici si mescolano in un impasto molto personale e in cui posso pienamente riconoscermi». Dunque la bella giornata continua? «La mia bella giornata non è cambiata, perché, anche prima nella giovinezza, la promessa della felicità che rappresentava era talvolta insidiata da un’ombra. L’età mi sta dando il senso della distanza e anche una sorta di filosofica rassegnazione alla caducità della vita. Ma continuo a pensare che è proprio quando si ha la consapevolezza della propria caducità che si apprezza di più la vita». Chi le manca di più dei suoi amici che non ci sono più? «Mi manca in modo particolare l’ironia e il senso dell’umorismo di mio fratello Pelos e quello del mio grande amico Goffredo Parise».


25 giugno 2005