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        il successo del debutto romano, torna a Pistoia dal 20 al 24 e il 27 febbraio 
        nello spazio della Saletta Gramsci (Piazza San Francesco), il nuovo spettacolo 
        prodotto dall’Associazione Teatrale Pistoiese con la regia di Cristina 
        Pezzoli, direttrice artistica del Teatro. Inedita la coppia di 
        autori di Report: il pistoiese Giuseppe Bigoni, organizzatore 
        teatrale al suo debutto come autore, e il modenese Roberto Buffagni, 
        poliedrico studioso di teatro, autore, pubblicista, traduttore/adattatore, 
        già collaboratore della regista in più occasioni. Nel cast un trio, anch’esso, inedito composto da due ‘solide’ attrici, che già in passato hanno lavorato con la Pezzoli, e un attore ‘versatile’: Milvia Marigliano (reduce da Al Moulin Rouge accanto Carlo Delle Piane era già stata diretta dalla regista lombarda al Festival di Benevento del 2002 in Erodiadi di Testori), Barbara Valmorin (con la Pezzoli la scorsa stagione ne Il sole dorme di Sonia Antinori e, sempre all’interno del progetto pistoiese della regista, protagonista di Vecchie di Daniele Segre, neo vincitrice del Premio Ubu 2004 come Miglior Attrice Non Protagonista della passata stagione) e infine Marco Zannoni (con un trascorso che spazia dalla scrittura drammaturgica al cabaret, dal repertorio comico al teatro classico, senza disdegnare la partecipazione alle soap o a film di successo). Dopo Pistoia, lo spettacolo circuiterà in una serie di piazze toscane, per essere poi ripreso nella prima parte della prossima stagione. “Si tratta”, spiega Cristina Pezzoli, “della rappresentazione in tono inizialmente umoristico di tre vite ‘al capolinea’, di tre fallimenti: il fallimento della prospettiva politica dell’ex-sessantottino Ettore (“AVREI POTUTO…”); il fallimento artistico nella figura dell’attrice Barbara (“AVREI VOLUTO…”) e quello familiare-sentimentale della casalinga Mila (“AVREI DOVUTO…”). Interessante è soprattutto il rapporto che si viene a configurare con il video e con il 'virtuale'. L'interruzione della comunicazione’ che è sancita dal protagonista maschile costringe gli altri non solo ad entrare nel suo personale ed alternativo codice di interazione ma anche a guardare direttamente dentro se stessi. Da questi 'intimi colloqui' si svela l' "inautentico" delle proprie esistenze’ “. 
 Un giorno che sembra qualsiasi, un uomo sul finire della cinquantina si mette come per scherzo a raccontarsi davanti a una videocamera. Si chiama Ettore. È sposato, ha due figlie sulla ventina. Vive in provincia, in una villetta a schiera. In gioventù, ha partecipato con grande trasporto ai moti del Sessantotto. Ha continuato a far politica anche dopo la fine di quella stagione, ma non è un politico di professione. L’impegno, l’interesse e la passione politica ci sono ancora, ma la vita quotidiana li ha fatti scivolare in secondo piano, e li ha insensibilmente tramutati in ironia, nostalgia e rimpianto. È iscritto ai Democratici di Sinistra. Non aderisce con tutto se stesso a questa scelta, ma alternative non ne vede. Il suo mondo e la sua vita non lo soddisfano, perché si sente diverso. Si sente diverso, ad esempio, dai suoi vicini Mila e Mario, una coppia senza figli che non solo ha opinioni politiche opposte alle sue (votano entrambi Forza Italia) ma per lo stile di vita impersona molto di quel che dell’Italia di oggi Ettore detesta. Eppure, con questi vicini divide gran parte della vita quotidiana: frequentazioni quotidiane, scambi di favori, e soprattutto, il rituale del barbecue, che le due famiglie celebrano insieme ogni sabato da più di vent’anni. E allora? Dove sta la diversità che Ettore sente tanto acutamente? Il suo racconto comincia come un’autopresentazione bonariamente ironica e satirica; ma raccontarsi non è mai un atto privo di conseguenze impreviste. In questo caso, la prima conseguenza, che poi provoca tutte le altre, è questa: Ettore si sottrae al rituale del barbecue, e proprio nel punto in cui s’era sempre celebrato pianta una siepe di alloro che divide il giardinetto in comune fra la sua casa e quella dei vicini. E questo è il primo passo: Ettore si stacca dalle abitudini quotidiane. Il secondo passo è logico, anche se imprevedibile per chi gli sta intorno: Ettore comincia a usare la videocamera per lanciare grandiosi proclami e feroci invettive. A chi? Al suo mondo piccolo, e al mondo grande: a tutti quelli che non lo amano, non lo capiscono, e gli hanno tarpato le ali (per volare dove? Mah). Naturalmente, se il mondo grande non se ne dà 
          per inteso, il mondo piccolo di Ettore, cioè la sua famiglia 
          e i suoi vicini, reagisce eccome: con preoccupazione, ma anche con sdegno 
          e sorpresa. Gli interlocutori di Ettore sono due donne. Mila, la vicina, una casalinga che guarda il mondo, la politica e la vita dal punto di vista degli affetti privati; e Barbara, un’attrice che condivise con Ettore la stagione del Sessantotto (chiamata al soccorso dalla moglie disperata di Ettore) e che rimprovera a lui e al suo partito, come un voltafaccia opportunistico, quella rinuncia al comunismo, alla rivoluzione e alla politica intesa come assoluto, che invece danno ancora significato alla sua vita. A entrare in colloquio con Ettore sono dunque, in un certo senso, le sue due anime: l’anima della vita privata e quotidiana, e l’anima della vita pubblica e festiva; l’anima delle piccole cose, e l’anima delle grandi idee; l’anima del particolare e del limitato, e l’anima dell’universale e dell’assoluto. Ecco: lo spettacolo presenta questo colloquio indiretto, con le sue molte sorprese farsesche e tragiche. Indiretto, perché non potendo parlarsi faccia a faccia, gli interlocutori sono costretti a comunicare a mezzo video: e quindi, parlando all’altro sono obbligati a parlare anche a se stessi. Si parlerà molto di politica, e di politica 
          di sinistra, in questi colloqui. Ma se ne parlerà in un modo 
          piuttosto insolito. Non si farà un dibattito di cronaca o di 
          idee. Quel che pensano i personaggi della politica non ci interessa 
          come guida dei perplessi al voto delle prossime elezioni politiche: 
          per quello, ci sono i giornali, la televisione, le chiacchiere al bar, 
          eccetera. Il rapporto dei personaggi con la politica – distanza 
          e impermeabilità e per Mila, nostalgia e ironia per Ettore, ostentato 
          recitare un’ adesione integrale per Barbara – ci interessa 
          per capire alcune delle esperienze, dei modi di sentire, delle indispensabili 
          bugie, delle intime verità, che costellano l’orizzonte 
          interiore dei nostri tre personaggi. Per capire, anche attraverso la 
          politica, come sono fatte queste tre persone. Per disegnare, insomma, 
          l’autoritratto di tre personaggi che, sotto altri nomi, ci è 
          possibile incontrare quando passeggiamo per la strada, o magari quando 
          ci guardiamo allo specchio.  Ecco: le nostre ambizioni saranno soddisfatte se chi avrà assistito a questo lavoro non uscirà dicendosi “Ecco, la ragione e la verità stanno qui” ma “sai a chi somiglia Ettore?” O Mila, o Barbara; e subito sentirà di avere sulla punta della lingua i nomi di qualche conoscente o qualche amico (o anche il proprio: perché no?).Un prologo o quasi Ho scritto 
          questa cosa perché sono confuso. Non ho certezze, quindi scrivo 
          per capire quale può essere il punto più alto di questa 
          mia confusione. Scrivo anche perché ho a noia i formalismi, le 
          convenzioni sociali e culturali. Scrivo da ipocrita contro l’ipocrisia. 
          Critico la sinistra, perché sono di sinistra. Scrivo per divertimento, 
          perché di notte quando sono solo, ho una disperata voglia di 
          piangere. Dei risultati li raggiungerò di certo, romperò 
          qualche amicizia e dovrò litigare con qualcuno, magari un familiare. 
          Ho avuto poi sollecitazioni ruffiane e sconsiderate che mi hanno spinto 
          alla scrittura e sapete la vanità…Poi ho pensato che in 
          Italia scrive e pubblica molta gente mediocre ed io che della mediocrità 
          ne ho fatto un’arte, mi sono detto, perché no? Non parlo 
          quasi mai di cose profonde, degli abissi interiori e di esistenze tormentate. 
          Guardo al sodo, alla materia. La materia sta lì dura e testarda, 
          incorruttibile al linguaggio, tetragona alle sensibilità poetiche; 
          la materia per dirla con Gramsci, si trasforma con la prassi e la coscienza 
          collettiva. Ed io che non sono più un “prassista”, 
          sublimo con la scrittura la mia immobilità ed ironizzo sulla 
          materia volgare. Rido di me e sorrido sulle persone a me care, mentre 
          sugli altri, da me distanti, vado giù duro con sicurezza e se 
          possa con cattiveria. Per molti potrò anche apparire arrogante 
          e presuntuoso, perfino un po’ snob, ma non sono sereno, anzi sono 
          veramente irato Non avendo il talento e la raffinatezza dei molti intellettuali 
          (uomini e donne) che frequentano quei vomitevoli salotti televisivi 
          raimediaset, sciolgo le briglie del mio morso, rifletto a braccio su 
          questa realtà che non mi piace punto. 
   "... 
          questo lavoro capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore come 
          raramente capita ormai a teatro, grazie a tre ottimi interpreti, soli 
          su un palcoscoscenico nudo, e un testo intenso, leggero, doloroso, ironico, 
          disilluso, ultima sorpresa che ci riserva la regista Cristina Pezzoli..." 
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