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 Manuela Mandracchia 
                e Umberto Bortolani
 | Comunicato 
            stampa In prima nazionale: Zio Vanja con Alessandro Haber, regia di Nanni 
            Garella
 È Alessandro Haber il protagonista di ZIO 
            VANJA di Anton Cechov, regia di Nanni Garella, una 
            produzione di Nuova Scena - Teatro Stabile di Bologna che ha inaugurato 
            martedì 26 ottobre,
 in prima nazionale, la stagione 2004-2005 dell’Arena del Sole 
            (repliche fino al 7 novembre.
 Feriali ore 21 – Domenica ore 16 – Lunedì riposo).
 Da anni Haber e Garella cullavano all’Arena 
            il progetto di questa messinscena, che approda sul palco dello Stabile 
            di Bologna forse non a caso nell’anno del centenario della morte 
            di Cechov.
 
 Quattro “pezzi” di vita (tanti sono i quadri dello spettacolo), 
            nella campagna russa dell’ottocento, di una famiglia di possidenti 
            decaduti.
 Vanja, il protagonista esacerbato da una vita di fatica nell’ombra, 
            ha il volto di Alessandro Haber,per la sesta volta protagonista di 
            una produzione del Teatro Stabile di Bologna.
 Sostiene il ruolo dell’inquieta Elèna Manuela 
            Mandracchia, una delle attrici più sensibili della 
            scena
 italiana, che ha lavorato a lungo con Luca Ronconi 
            e recentemente con Massimo Castri, già vincitrice 
            di un Premio Ubu e di un Premio Olimpico.
 
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          | L’attore bolognese Umberto Bortolani, da tempo 
            tra i protagonisti delle produzioni di Nuova Scena, è Serebrjakòv, 
            l’illustre intellettuale,marito di Elèna in seconde nozze, 
            che si rivela nella sua mediocrità. Nanni Garella,che 
            ha anche curato la nuova versione italiana del testo insieme a Nina 
            Tchechovskaja,
 ha tenuto per sé il ruolo di Astrov,il brillante medico di 
            famiglia afflitto da nichilismo. Anna Della Rosa
 è la laboriosa Sonja, figlia di primo letto del professore 
            e nipote di Vanja.
 Completano il cast Maria Teresa Giudici (la madre 
            di Vanja), Rosario Lisma (Teleghìn, un possidente 
            impoverito) e Mariarosa Iattoni (la balia), proveniente 
            dalla Compagnia Arte e Salute
 nata dalle esperienze di formazione professionale, condotte da Garella, 
            di un gruppo di pazienti psichiatrici del Dipartimento di Salute Mentale 
            dell’AUSL di Bologna.
 Le luci sono di Gigi Saccomandi, le scene di Antonio 
            Fiorentino e i costumi di Claudia Pernigotti.
 
 
 
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 Manuela Mandracchia  |  
         
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 Anna Della Rosa e Nanni 
                Garella  | Come 
            figurine di un vecchio album di foto, si agitano piccoli e grandi 
            proprietari in rovina, professionisti abbrutiti dalla fatica, contadini 
            e operai schiavi della miseria. Personaggi afasici, antieroi, eventi “senza storia” che 
            Cechov ebbe l’intuizione di portare in scena.
 «Cechov lo fa – spiega Garella – in modo apparentemente 
            molto semplice: rappresenta
 "la vita com'é". Sgombra il campo dagli accadimenti 
            eccezionali, libera i suoi personaggi dall'obbligo di seguire una 
            trama e li posiziona al centro delle proprie vite così come 
            sono:
 vite normali, che scorrono in scena nel tempo reale - d'orologio - 
            in cui le vediamo».
 Opera tra le più dure, meno indulgenti, di Cechov, Zio Vanja 
            offre l’immagine di una società, una volta opulenta, 
            accerchiata dalla miseria del mondo, sinistramente simile a quella
 del nostro tempo.
 Una lettura politica di Cechov? «Non è forse politica, 
            in senso alto, la verità? – risponde Garella – 
            E non è politica di potere tutto ciò che maschera la 
            vera condizione degli uomini,
 per conservare i privilegi di pochi? La forza di Zio Vanja – 
            continua il regista –
 sta nella ricerca puntigliosa della verità: dei sentimenti, 
            dei rapporti sociali, economici e politici.
 
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            | Quel 
              mondo, basato su un intollerabile sfruttamento di massa, è 
              minato proprio dalla sua presunzione di eternità, e finirà 
              per essere travolto in pochi anni». Un testo di non-speranza: «Il disfacimento di un mondo rurale 
              causato dall’avvento del “progresso” – fa 
              eco Haber – sembra un presagio del futuro, dello harakiri 
              che l’uomo fa oggi all’ambiente e a
 se stesso. Conviviamo con le guerre, il disboscamento, il dissanguamento 
              della terra».
 I personaggi sono intorpiditi, rinunciatari, quasi spettrali.
 «Questa – continua l’attore – credo che 
              sia la cifra dell’opera: sono tutti “malati” di 
              una malinconia ineluttabile, della sensazione che la vita si va 
              spegnendo senza futuro».
 La guarigione sarebbe la possibilità di ricominciare tutto 
              daccapo, di riscrivere una vita nuova, sana.
 Lo si legge nell’appello disperato di Vanja ad Astrov: “Ho 
              quarantasette anni. Se vivrò,
 mettiamo, fino a sessanta, me ne restano ancora tredici. È 
              lunga! Come li passerò questi tredici anni? Che cosa farò,come 
              li riempirò? Capisci... capisci, se fosse possibile vivere 
              il resto della
 vita in un modo... nuovo...”. Ma il futuro resta un sogno 
              che sembra escluderli, di cui Astrov affida il
 compimento alle generazioni future: la nostra.
 «Quella di Cechov – aggiunge Haber, che si cimenta con 
              Cechov per la prima volta – è sempre una scrittura 
              alta, che conserva una grande poeticità anche quando sfiora 
              i toni della commedia.
 Il personaggio di Vanja, poi, ha sfaccettature, umori, una tragicità 
              che riesco a riconoscere.
 Mi piace – sorride – entrare nel mondo difficile, astioso,doloroso 
              dei perdenti.
 Rispetto agli eroi, hanno forti sbalzi di temperatura, un’anima 
              che vibra di più…».
 
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 Alessandro Haber 
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